lunedì 30 novembre 2015

Rigal mamnuʿ - vietato l'ingresso agli uomini

Questa frase (la cui traduzione esatta sarebbe "vietati gli uomini") così poco comune in Europa è invece piuttosto frequente da queste parti. La prima volta che l'ho sentita è stata in occasione dei festeggiamenti per l'ʿid watani, la festa nazionale che quest'anno celebrava i 45 anni di sultanato di sua Maestà Qaboos. Ufficialmente la festa è stata il 19/11 ma i festeggiamenti vanno avanti a oltranza e la questa settimana gli omaniti hanno due giorni di vacanza - noi solo 1. Quindi, tornando a questo meraviglioso divieto, è successo che il 23/11 siamo andati tutti allo stadio a vedere lo spettacolo itinerante in onore di Qaboos. Siamo un bel gruppetto: 4 ragazze della scuola, 4 ragazzi, 3 delle nostre language partners, Samira e Sultan con le due bambine (i due maschi invece fanno parte dello spettacolo); facciamo per avviarci verso le scale che portano agli spalti ma una poliziotta con hijab e cappello ci ferma con la mano e scuote la testa urlando "Rigal mamnuʿ!!!" E così ci separiamo perché quella è la sezione riservata alle donne e gli uomini devono andarsene dal lato opposto. Noi 4 con le nostre language partners e Samira con le due bambine ci sistemiamo e mi rendo conto subito della netta distinzione che contraddistingue qualsiasi evento pubblico: il settore delle donne è nero pesto per via dell'abayya che tutte indossano, mentre quello degli uomini risalta per il bianco candido delle loro dishdasha (infatti l'outfit ufficiale ed elegante degli uomini consiste in dishdasha bianchissima e nelle occasioni più solenni si aggiunge anche la cintura con il khanjar, il turbante in tinta con una fascia di stoffa che si lega in vita sopra la cintura e una spada o il bastone per cavalcare i cammelli). 

Khanjar

Outfit per le grandi occasioni

Dopo numerosi canti, balli, racconti, musiche, rappresentazioni, cavalli e cammelli partono migliaia di fuochi d'artificio che illuminano a giorno lo stadio e tutto intorno e sembra che non finiscano più, anzi forse sono fin troppi perché la gente inizia ad andarsene... In realtà sono solo molto furbi e previdenti perché quando finalmente i fuochi finiscono e noi usciamo dallo stadio, abbiamo il tempo di raggiungere la macchina che rimaniamo bloccati nel parcheggio per via del traffico. Probabilmente c'era tutta Ibri presente a onorare la famiglia Qaboos, che tra l'altro ha assistito alla rappresentazione - il sultano era rimasto a casa però. Dopo mezz'ora buona riusciamo a raggiungere la rotonda e il traffico si fa più sopportabile, a parte le macchine degli shabab che strombazzano i clacson come gli ossessi e urlano seduti sui finestrini dei loro lucidissimi suv. 





La sposa omanita
L'altro giorno ricevo un messaggio indecifrabile dalla mia language partner (che per la cronaca si chiama Taimura) la quale mi invitava al matrimonio di una sua conoscente. Per essere sicura di aver afferrato bene il concetto, mi sono rivolta alla mia traduttrice di fiducia, Latifah, che ha confermato l'invito e mi ha un po' spiegato come funzionano queste cose in Oman, sottolineando che se non volevo andarci da sola avrei dovuto trovare un'accompagnatrice, non potevo andare con Thor perché "rigal mamnuʿ!". Problema risolto: venerdì sera Taimura e le sue sorelle vengono a recuperare me, Sonja e Anna e partiamo alla volta del matrimonio. Gli uomini sono vietati perché la prima parte della festa è dedicata alle donne, per cui le parenti e le amiche della sposa si ritrovano sotto un tendone enorme e mangiano, bevono, parlano e ballano al ritmo sfrenato delle canzoni omanite. Dopo un po' arriva la sposa, vestita di bianco con una specie di mantello/hijab bianco damascato che si toglie non appena varca la soglia del tendone; non sembra affatto contenta, forse perché la fotografa non le lascia fare mezzo passo senza scattare mille foto, o forse perché la gonna del vestito è talmente larga e lunga che le finiva sempre sotto le scarpe, oppure perché teme che il forte vento del deserto sradichi il tendone e faccia volare tutto per aria. Al fondo del tendone c'è una sorta di divano bianchissimo coperto di brillanti installato su un palco verso cui si dirige faticosamente la nostra sposa; quando finalmente arriva, le parenti vanno a porgerle i loro saluti e auguri per il futuro: un abbraccio e tante cose sussurrate ad entrambe le orecchie, persino quella che immagino fosse la nonna sale sul palco, abbraccia la ragazza, piange e non riesce più a scendere.
La cena è discreta, se ho capito bene molti mangiano a casa loro e poi si spostano al matrimonio con gli stomac(h)i già pieni, ma noi non ne sapevamo nulla, così ci portano il solito piattone di riso e tranci di agnello - tutto un po' freddo - frutta e l'immancabile halwa, il dolce tipicissimo omanita che sembra una gigante caramella gelatinosa con mandorle o anacardi e spezie. 


Dopo un'oretta e mezza, siamo un po' tutte annoiate, del futuro marito non c'è ancora neanche l'ombra, i balli sinuosi che mi aspettavo lasciano un po' a desiderare e così dopo uno sguardo collettivo d'intesa ce ne andiamo. Tra l'altro non ho nemmeno una foto della serata perché anche quelle sono vietate, solo la fotografa ufficiale è autorizzarla a farle e inviarle poi esclusivamente alla sposa, deciderà poi lei a chi farle vedere. Non so granché sui matrimoni nostrani ma sto imparando un sacco su quelli omaniti perché la mia Taimura ad aprile si sposa e quindi mi spiega per filo e per segno come funzionano, come si conosce il futuro marito, della festa di fidanzamento, della luna di miele, di cosa farà dopo eccetera. In pratica qui essendo la separazione maschi-femmine decisamente più netta rispetto alla nostra, non è semplicissimo trovare l'anima gemella quindi, oltre alla possibilità di conoscere il futuro marito o futura sposa a lavoro o all'università, la società offre un ottimo servizio stile "dottor Stranamore" per cui il lui/lei in cerca dell'amore eterno si rivolgono a una signora che ha la lista di tutti i lui/lei in età da matrimonio e saggiamente consiglia quello/a più adatto al richiedente le sue mansioni. Quando il nostro eroe o eroina hanno scelto una persona dalla lista, la suddetta signora si rivolge alla famiglia del prescelto/a per proporre questa unione. In linea di massima sarà poi il prescelto/a a prendere la decisione finale, raramente è la famiglia a imporre il suo desiderio. Dopo di che i due si incontrano, se si piacciono si fa la festa di fidanzamento e dopo qualche mese - se continuano a piacersi - si fa il matrimonio vero e proprio. 
E vissero per sempre felici e contenti e con tanti figli.

Cecilia

mercoledì 18 novembre 2015

Tarantella in Oman

PREMESSA
Stamattina Samira ha osservato che il nome del blog è un po' di parte, essendo totalmente assente qualsiasi riferimento alla sottoscritta. Diciamo che "giustamente" Thor ha fatto notare che con il mio cognome non è che si potesse giocare molto e qui la fantasia yemeno-tedesca di Samira è uscita proponendo per il mio prossimo blog il nome che da il titolo a questo post. Che ne dite? Il sondaggio ha inizio.

Ieri mattina sono arrivati due studenti nuovi, così abbiamo superato il limite massimo dello scuola bus e ora vengono a prenderci con un van piuttosto datato ma con un guido nuovo molto simpatico che parla un sacco, soprattutto con l'eletto che si siede davanti di fianco a lui. Ho scoperto che si chiama Muhammad - tanto per non sbagliare - e oggi ha portato a noi fanciulle un hijab a testa: "Ma dobbiamo metterlo qui in macchina?!" "La, la, hadha hadiyya lakum, è solo un regalo". Sempre perché i musulmani sono dei mostri orrendi che vogliono rubarci il lavoro, rubarci le donne, rubarci i bambini (o mangiarli?), farci saltare in aria e via discorrendo. 
Le due novità giungono direttamente dall'Iraq, uno da Baghdad e la ragazza da Basra, dove vivono e lavorano da ormai un discreto numero di anni. La mia dolce madre, a sapere la notizia, non ha mancato di sottolineare che "quindi voi [Thor e io] siete i più banali". Piezz' e cor' si dice da qualche parte. E comunque in effetti si, ti senti (o almeno questa è la mia sensazione) un po' uno sfigato a sentire cosa fanno gli altri, le esperienze, i lavori, gli studi, i viaggi, tutto. Non ho incontrato molti italiani con un bagaglio simile a queste persone, quindi mi consolo auto-convincendomi che si tratta di una questione culturale, tradizionale, che noi italiani non siamo tagliati per questo tipo di vita. 
Loro la fanno facile, soprattutto la ragazza che ammette sia una vita dura, ma più per come passa le giornate (chiusa in camera a leggere e scrivere tutto il giorno) che altro. A quanto pare Basra e tutto il sud dell'Iraq sono tranquilli, non succede niente di speciale "solo qualche auto bomba una volta ogni 2-3 mesi", ma tanto loro vivono nel compound militare quindi non ne sentono molto gli effetti. Magra consolazione.
In ogni caso è meraviglioso trovarsi in questo ambiente, trascorrere del tempo davanti a una tazza di thè ad ascoltare le storie di tutti, disquisire su una regola di grammatica o sulla possibilità di tornare in Siria, sentir parlare 3/4 lingue diverse, passare dall'italiano allo spagnolo, dall'inglese all'arabo - questo fuori da scuola è usato solo per chiarimenti e supporto nei compiti altrimenti si rischia la flagellazione. 
Ieri sera poi si è svolto un bellissimo episodio di convivenza: siccome John è un estimatore del terribile e temibile pesto di Jamie Oliver che ad agosto avevo avuto la malaugurata idea di comprare, avevo deciso di fargli provare il pesto che mi ero portata da casa. Così alle 9 iniziamo a cucinare i fusilli Rummo, anche quelli da Torino, e mentre quelli cuociono ci viene a far visita Muhammad (si, anche lui si chiama così), il maestro di calligrafia: "ya akhy! kifak? kif waladuk? Come stai, come sta tuo figlio? Stiamo cucinando la pasta italiana, vuoi assaggiarla?" "Perchè no". Aggiungi un posto a tavola, siamo due italiani, un inglese, un ceco e un omanita a mangiare fusilli al dente, hamburger gentilmente preparati da John, pane del ristorante siriano sotto casa e per mantenere la linea mediterranea Erik ha portato le olive. Hanno detto che era tutto buono, che poi abbiano apprezzato davvero non so però anche questa è una di quelle cose che mi mancheranno tanto a Torino.

Per quanto riguarda gli studi e per tranquillizzare tutti quelli che dubitano del nostro impegno e ridono ogni volta che si dice "vado in Oman a studiare" o in qualsiasi altro posto al mondo, sappiate che in questi giorni stiamo parlando molto di quello che sta succedendo in Europa, e siccome l'inglese è praticamente mamnu (proibito) a scuola stiamo imparando a dire in arabo tutti i termini relativi a "terrorismo" "attacco" "suicidi" "bombe" "esplosioni" "profughi" "rifugiati", il lessico delle armi, quello dei sentimenti che si scatenano in questi momenti, e sebbene le frasi messe insieme sono ancora piuttosto semplici, è una gran bella soddisfazione riuscire a parlare di un simile argomento in una lingua che non sia l'inglese. 
Inoltre stiamo lentamente imparando a leggere i giornali, che sembra una boiata, ma oltre al lessico ovviamente non quotidiano, i caratteri sono microscopici.
Comunque gli studi interessano a pochi e risulta anche noioso andare avanti a parlare di cosa impariamo e via dicendo, quindi chiudo qui la sezione "Apprendimento".

Sabato siamo andati al wadi e al villaggio di Sultan. Alle 8 di mattina un enorme school bus di vecchia data è venuto a prenderci e, dopo un stop per un karak sulla strada e un'ora a parlare di quello che poche ore prima aveva sconvolto la comunità internazionale, arriviamo a destinazione. Sultan è uno dei personaggi più importanti e conosciuti a Ibri e dintorni e così anche suo padre. Per alimentare gli immaginari orientalisti, vi racconto che Sayyed Said era carovaniere, si spostava coi cammelli da una parte all'altra della regione. Poi si è  fermato a Muscat per qualche tempo, finché non è tornato nel suo villaggio natale che si trova vicino a Yanqul - una delle 3 città della regione az-Zahira di cui fanno parte Ibri e Dank. Sultan fa parte della famiglia dei Farsi, ed essendo praticamente l'unica tribù della zona, il villaggio prende il suo nome: qariat zaahir al-Fawaris, ovvero "il villaggio della apparizione dei Farsi". "Apparizione" perché in effetti sono stati loro a fondarlo tanto tempo fa, dopo che hanno abbandonato quello tra le montagne in cui vivevano prima. 
Parcheggiato lo scuola bus, ci siamo avviati verso il wadi lungo - anzi sopra - i falaji, i canali che portavano e tutt'ora portano l'acqua al villaggio. Dopo un po' abbiamo dovuto toglierci le scarpe per attraversare i torrenti d'acqua che si erano formati dalle recenti piogge e alla fine Sultan ci dice "chi vuole attraversare questo sappia che l'acqua è piuttosto alta". Ci siamo bloccati tutti sulla riva, osservando come avrebbe camminato su tutta quell'acqua che saliva sempre di più: le caviglie, le ginocchia, la pancia...finché del nostro capo non si vedeva che la kimmah - il cappello. Eh vabbè...pochi saggi tra di noi si erano messi il costume, e così via i vestiti e dritti verso l'acqua che però era decisamente più fresca del previsto, anche se poi dentro si stava benissimo. Sultan con la sua dishdasha, la kimmah e i sandali si tuffava dalle rocce sopra le nostre teste. 


Sultan e i falaji

Falaji

Dopo un po' siamo tornati indietro, diretti stavolta alla fattoria di Sayyed Said, dove ci stavano aspettando Samira e i suoi 4 figli per mangiare. Qui il pranzo inizia con la frutta: nel majlis - che corrisponde un po' al nostro salone - arrivano due bei vassoi carichi di uva, mele, banane, arance, pere, gli immancabili datteri (ora secchi perché è finita la stagione di quelli freschi) e ovviamente il caffè omanita. I nostri anfitrioni ci hanno portato a visitare la fattoria che è grandissima e molto bella, con tanti alberi da frutto e animali (mucche, capre, pecore, galline e conigli), ci sono persino i cammelli, quasi tutte femmine fatta eccezione per i cuccioli e un maschio tenuto in disparte perché è sempre su di giri per cui è meglio non avvicinarvisi troppo. 

The babies

Babies love snuggles

Quando siamo rientrati in casa c'erano due piatti giganti di riso e pollo yemenita che aspettavano di essere divorati, rigorosamente con le mani e rigorosamente seduti per terra. 

Finito il pranzo e dopo una lunga digestione intrattenendo i bambini, Sultan arriva con l'inceso: è il momento di salutare e tornare indietro*. Con questo si è conclusa la nostra giornata e chiudo il post che mi sembra piuttosto lungo oggi.



Incenso

Alla prossima,
Cecilia


* Portare agli ospiti il vaso con l'incenso che brucia è il modo educato per invitarli ad andarsene. Gli uomini posano il vaso a terra e ci si mettono sopra con la dishdasha che lo copre in modo da profumarla tutta, mentre le donne si "tirano" addosso i fumi, sempre per profumare gli abiti.




venerdì 13 novembre 2015

رجعنا

Da qualche giorno siamo nuovamente in terra omanita: Ibri è come l'abbiamo lasciata due mesi fa, solo con una decina di gradi in meno per cui è vivibile e si riesce anche a uscire per fare una passeggiata.
Anche il geco che mi aveva fatto visita è ancora nei paraggi, ma stavolta si è limitato a salutarmi dalla finestra. 





In compenso ho trovato due blatte in casa, di quelle lunghe, marroni con le antenne chilometriche e una ha pensato bene di saltarmi addosso e credo che tutto il palazzo Ooreedoo abbia sentito le mie urla...





Ho cambiato casa, non sono più nell'appartamento gigante numero 4, ma nel 3, più piccolino ma con una cucina e un salone molto carini. 

Divido la stanza con Sonia, una ragazza di Berne, nella stanza a fianco c'è Sara dalla Germania e domenica dovrebbe arrivare Martha da non so dove. 
Anche Thor ha cambiato appartamento, forse è stato un po' meno fortunato di me in quanto all'alloggio, anche se camera sua è enorme e ha una bella finestra grande come la parete da cui la moschea sembra quasi entrare e invadere tutto lo spazio disponibile. 


John the weirdo è ancora qua, 9 mesi in questo "buco polveroso" a mangiare riso e pollo 5 giorni alla settimana. Ma è in forma e non sembra essere andato fuori di melone!

La scuola è al completo e sul nostro scuolabus non ci sono più posti a sedere: in totale siamo in 10, divisi in 3/4 livelli diversi. Inaspettatamente c'è anche Simone, il nostro prof di dialettologia che ci aveva saggiamente consigliato questo posto, così siamo 3 italiani, 1 svizzera, 1 austriaco, 3 tedeschi, 1 inglese, 1 australiano, 1 ceco + due in arrivo da non so dove.
Come sempre in questi casi, tutti hanno una storia incredibile da raccontare, per esempio l'austriaco parla 11 lingue (6 perfettamente, 5 molto bene), ha iniziato con l'arabo 6 mesi fa facendo volontariato con i rifugiati e ora lo parla benissimo pur non avendolo mai studiato (e qui a me sale l'ira funesta!). La mia roommate ha vissuto in un numero imprecisato di paesi, passando dall'Australia al Canada, dagli Usa all'Africa, dalla Grecia alla Svizzera. 


Il viaggio è stato meno traumatico dell'altra volta: un bel volo diretto della OmanAir da Milano ci ha lasciati a Muscat dopo 6 ore. Devo dire però che volare con Lufthansa è meglio, soprattutto in termini di cibo e hostess, perché quelle della OmanAir correvano su e giù come delle matte e sembrava non sapessero bene cosa fare, soprattutto quando il pilota ha avvisato di possibili turbolenze, cosicché a me è salita l'ansia e non ho dormito...

Una volta arrivati a Muscat avevamo 2/3 di attesa prima che Omar arrivasse a prenderci, così ci siamo concessi un'ottima colazione da Costa, che onestamente non delude mai.


Una volta arrivati tutti, siamo partiti alla volta di Ibri, a due ore e mezza da Muscat, tra il sonno e i morsi della fame che si facevano sentire ad ogni sobbalzo del pullmino. Al nostro amato palazzo Ooreedoo c'era il mitico Sultan che ci aspettava con una paccata di bibite e shawarma per tutti - sia benedetto! 
Alla sera eravamo invitati al buon vecchio Aroos Dimashq, il vicino ristorante siriano, per una cena conviviale tutti insieme. E lì ho visto lei, la luce dei miei occhi, con la sua abaya nera lunga fino a terra: la mia adorata Latifah! è bella come sempre, mi ha detto che i capelli le sono un po' cresciuti da quando siamo andate al centro estetico, chissà se riuscirò a vederglieli bene stavolta. 

Il giorno successivo è iniziato alle 7.30: sveglia, doccia, biscotto, vestiti e giù, tutti sul pullmino. Ci hanno portato subito a scuola, ma dopo poco siamo andati a vedere il mercato degli animali che è proprio di fronte. In realtà non è un mercato, è un'asta. Qui è ancora un metodo di compravendita molto diffuso: si inizia il mattino presto con l'asta dei datteri, segue quella della frutta e verdura e si finisce con quella degli animali. I beduini arrivano con le loro bestie sui pick up: capre, pecore ma anche cammelli e mucche. L'asta si svolge in uno spazio coperto, con la ghiaia a terra su cui si siedono i venditori e gli acquirenti. Nel centro si fanno sfilare gli animali, uno dietro l'altro e uno urla i loro prezzi. Uno degli angoli è destinato alle donne, quasi tutte beduine, con le loro maschere da cavalieri. Sono molto attente quando comprano un animale: esaminano i denti, le gambe, i genitali,..
Questa è una delle poche occasioni in cui gli omaniti pagano le tasse: quando comprano un animale infatti - ma probabilmente qualsiasi altro prodotto messo all'asta - una piccola percentuale del prezzo (credo il 5/8%) va allo stato. Se vi interessano i prezzi, una capra può costare 150/200 OMR, ma il prezzo arriva al doppio subito prima dell'Eid al-Adha, la festa del sacrificio. 

Dopo l'asta, siamo andati al negozio di datteri, dove ci hanno spiegato tutto sui datteri, quello che si può produrre, in che maniera, eccetera, un po' come Buba coi gamberi. Il negozio è fornitissimo, il proprietario ci ha offerto caffè omanita e dolcetti di datteri al sesamo - buonissimi. Grazie e arrivederci, è ora di visitare il castello di Ibri, su cui non scriverò nulla perché non c'è molto da dire se non che è un bel castellozzo, tutto ristrutturato, risalente a circa 400 anni fa, con una delle moschee più antiche dell'Oman ancora utilizzata settimanalmente per la grande preghiera del venerdì.

Dopo un giro al vecchio suq, siamo tornati a scuola per fare il placement test, che, con terrore di tutti e a differenza dell'altra volta, conteneva anche una prova di speaking O_O

Giovedì, che poi era ieri, abbiamo iniziato le lezioni vere e proprie e poi..."finalmente" il week end! Domani dovremmo andare al villaggio di Sultan e al wadi, speriamo di fare il bagno. 

A seguire, qualche foto degli ultimi giorni.

A presto,

Cecilia.

Come sopravvivere un mese senza dolci.

 Sul Sadem Torino-Malpensa

 Non ci sono paragoni.

 5 euro di pizza pre volo.

 Comitiva di anzianotti biellesi in gita al Salalah resort.

"Si avvisano i signori passeggeri che stiamo iniziando 
l'atterraggio all'aeroporto di Muscat"

Risolto il problema delle prese.

 L'outfit ultra formale omanita, che prevede la cintura 
con il pugnale (khanjar) sopra la dishdasha.

giovedì 29 ottobre 2015

The English version is coming!!


Hi bloggers, readers and friends from all over the world :)
just a little news for you.
We are finally working on the English version of the blog so very soon you will be able to read about our first and next adventure in Oman. Yes that's right...you have read well, Cecilia and I are going to come back to Oman in 10 days for another month!!
So stay tuned, read and comment!!

Cosa resta?

Dopo ben 55 giorni dal rientro in terra italica trovo finalmente il tempo per scrivere quelle che dovrebbero essere le conclusioni di questa esperienza fatta ma vi rassicuro, non ho dovuto pensarci per 55 giorni e sicuro non sarà un post che vi terrà per 55 giorni inchiodati allo schermo :)

Iniziamo col dire che i rientri, come sempre, sono traumatici e questo, cari amici, non è stato diverso. Passare dal caldo secco di Ibri al caldo umido di Muscat prima e in seguito a quello ancora più umido di Torino mi è stato fatale. La prima settimana in terra italica, infatti, l'ho passata a letto con l'influenza ad imbottirmi di antibiotici.
Quindi...tra influenza, preparativi per il matrimonio di Livio ed Elisa, l'università, il lavoro e il classico "ma si, lo faccio domani" il tempo per scrivere con calma le conclusioni non è stato molto anzi, direi quasi nullo.

Finite le giustificazioni, più o meno credibili, tornerei alla domanda che da il titolo a questo ultimo post: Cosa resta?

Del mese passato in Oman restano le nuove amicizie fatte. I professori e tutti gli studenti del Noor Majan Training Institute, le gite, le risate, i pomeriggi passati tutti insieme nella cucina di "casa" mia a mangiare datteri e a bere del tè, i discorsi socio-politici e quelli esistenziali. Resta la complessità della lingua araba che per quanto possa essere difficile riesce sempre ad affascinarti. Resta la riscoperta dell'ospitalità araba e la loro grande disponibilità. Resta lo stupore che ti lasciano le persone che incontri per la strada che ti fermano per parlare, parlare, parlare e ancora parlare o anche solo per prendere un caffè con loro solo perché sei straniero. Restano ovviamente le grandi e forti emozioni provate nell'ammirare le tartarughe di mare.
Potrei continuare così per ore, ma ne verrebbe fuori un lunghissimo elenco che rischierebbe di sminuire il significato di ciò che ho scritto in precedenza e che mi porto dentro.
Quindi la smetto di elencare cose e vi saluto con una carrellata di foto delle persone fantastiche che ho incontrato e con un consiglio:
trovate un po' di tempo e visitate l'Oman è un paese davvero magico, non per niente è la terra di Aladin e del genio della lampada!!! ;)











Ah quasi dimenticavo...resta una gran voglia di tornarci! ;)

Salvatore

venerdì 4 settembre 2015

Tonight cinema

Dopo due ore siamo liberi di andare: illegalmente, ma possiamo andare a al-Bureimi a vedere il film e a cenare, a patto di tornare entro mezzanotte. 
Sembra quasi la raccomandazione di una madre, invece si tratta della polizia di confine tra Oman e UEA, anche se in realtà il confine geografico è ben più in là rispetto a dove fermano per controllare i documenti. È andata così: erano due settimane che cercavamo di organizzare con Latifah e John di andare al cinema a al-Bureimi (e perché fin là? Perché a Ibri di cinema non ce n'è neanche mezzo), e finalmente ieri siamo riusciti a partire. Un viaggio di due ore per andare a vedere un film! Dopo un'ora e mezza di viaggio, Latifah ci guarda "ce l'avete il passaporto, no?" Passaporto? Per andare al cinema? Ovvio che no, chi è che se lo porta dietro per andare a vedere un film? Quelli furbi e quelli che si informano su dove è al-Bureimi. Questa amena cittadina infatti è esattamente metà in Oman e metà negli Emirati, quindi 20km prima di entrarci ci sono i posti di controllo. Che facciamo, torniamo indietro e spostiamo il tutto a domani? Ma siamo quasi arrivati magari se sorridiamo tanto ci fanno passare. Proviamo a sentire Sultan cosa dice. Assolutamente no, non vi faranno mai passare, tornateci domani. Vabbè dai proviamoci. 
E così arriviamo al punto di partenza: ai controlli, sorridiamo, spieghiamo che è stata una cosa dell'ultimo minuto, che non sapevamo niente, che andiamo solo al cinema, non vogliamo fuggire negli Emirati... Niente. La foto del mio passaporto non basta, vogliono che qualcuno gliela faxi e nemmeno gli va a genio la fotocopia di Thor. Il nostro ometto Khaled dalla barbetta perfettamente geometrica ci fa parcheggiare mentre si consulta con gli altri soldatini. Nel frattempo chiamiamo Sultan perché mandi via fax la prima pagina del mio passaporto. Arriva, non arriva, avete sbagliato numero, qui c'è l'altro. Dopo un po' Khaled ricompare con il boss dei controlli. È un bell'uomo ma ha l'aria seccata. "Conosciamo Sultan e la vostra scuola, molti studenti sono passati da qui, ma questa è la prima volta che qualcuno si presenta senza documenti". Ok Ciccio se io ho in testa di andare al cinema non penso che mi servirà il passaporto, mi dispiace, fa niente, andiamocene. "Questo è del tutto illegale, ma possiamo tenere la ID di Latifah come garanzia che tornerete entro mezzanotte, se fate qualcosa sarà interamente sua la responsabilità". Siamo d'accordo: non spaccheremo nulla, non distruggeremo il Lulu Mall dove si trova il cinema, non faremo niente di niente. E dopo due ore fermi ripartiamo. 
Al-Bureimi ci accoglie con vento cocente e sabbia proveniente da chissà quanti stati (una parte della città era anche in Arabia Saudita, poi hanno ristretto i confini). Abbiamo appena il tempo di rinfrescarci prima che inizi il film "The Man From The UNCLE". La sala sembra un freezer e anche se il film è bello non vedo l'ora di uscire per scaldarmi un po'. Una volta finito ci dirigiamo a casa di Latifah, dove 'Aisha e Rashid - i suoi genitori - ci aspettano per mangiare. 
La generosità omanita si mostra ancora una volta: pentoloni di pasta, pollo e riso alla yemenita, manshi egiziano, insalata e frutta, tutto in quantità pantagrueliche. Dopo la cena - rigorosamente a terra - ci spostiamo nel majlis per prendere dolci, datteri freschi, caffè omanita, karak e infuso alla menta. 
Con la pancia piena ripartiamo di corsa, sono quasi le 11 e entro mezzanotte dobbiamo passare il confine. 
Se sono qui a scrivere significa che ce l'abbiamo fatta: all'una passata siamo tutti nelle nostre stanze a goderci 6 splendide ore di sonno. 

sabato 29 agosto 2015

Al-Itihad vs Al-Reef

Venerdì 21 Agosto 2015

Ebbene si, anche in Oman sono riuscito a non abbandonare la mia passione per il calcio.
L'esperienza è di quelle da ricordare, ma non tanto per lo spettacolo regalatoci dai giocatori in campo - dispiace dirlo ma il livello è proprio basso - quanto per la passione, quella vera, che noi abbiamo ormai dimenticato da troppo tempo, per la tranquillità e la libertà di girare per lo stadio. Ma iniziamo dal principio spiegando anche alcuni aspetti che caratterizzano il calcio qui in Oman.
Partiamo col dire che non ci sono squadre di Serie A, B, Lega Pro e Dilettanti come in Italia. Qui tutte le squadre sono libere di partecipare al campionato.
Quest'ultimo è diviso in due fasi: la prima prevede un campionato per ogni città omanita dove si sfideranno, per l'appunto, tutte le squadre cittadine, la seconda - ed ultima fase - prevede, invece, un campionato tra i team vincenti di ogni città.
Il calcio non è lo sport nazionale, quindi non ha molto seguito, i giocatori non sono stra pagati e quindi per mantenersi vanno tutti i giorni a lavorare e non fa scalpore ritrovarsi a giocare, il giovedì pomeriggio, con alcuni giocatori delle squadre della città quando organizzi una semplicissima partita a calcio con gli amici.
 
L'invito per la partita è giunto del tutto inaspettato, ero in macchina con Cecilia e Sultan quando quest'ultimo mi ha proposto di andare con lui allo stadio a vedere la finale per decidere chi avrebbe rappresentato la città di Ibri nella seconda fase del campionato. La mia risposta si è fatta attendere, non tantissimo, ma si è fatta attendere: "mumkin, bikam?" (forse, quanto costa?), Sultan mi guarda e ridendo mi risponde: "bikam? MAJANA!" (quanto costa? E' gratis!). Arrivato a casa mi organizzo con gli altri ragazzi e alle 20:45 siamo in macchina, direzione Ibri Sports Complex.

 
Le squadre che giocano la finale sono l'Al-Itihad (da quanto ho capito il nostro quartiere) e l'Al-Reef quindi...FORZA AL-ITIHAD!!
Lo stadio dista una quindicina di minuti o poco più da casa ma nonostante ci stessimo avvicinando sempre più non vedevo molto traffico.
Una volta arrivati le macchine sono aumentate ma in cinque minuti parcheggiamo e saliamo i gradini che ci hanno portato alle gradinate.
Ok che è gratis ma nemmeno un controllo? Dov'è la polizia? Questi sono stati i miei primi pensieri...ah maledetto calcio occidentale.

 
Preso posto in curva noto subito quanto sia diverso dall'Italia:
  • 5, i poliziotti presenti all'impianto;
  • Nonostante fosse una finale lo stadio era praticamente vuoto;
  • Gli ultras, se così vogliamo chiamarli, ma sarebbe un'offesa chiamarli così, si trovano nei distinti e non in curva, cantano continuamente per tutti i 90 minuti e al posto dei fumogeni usano tonnellate e tonnellate d'incenso XD
  • Le persone possono cambiare posto e settore a loro piacimento senza nessun problema.
  • Non ci sono donne se non delle bambine, allo stadio con il papà e i vari fratelli.
Il primo tempo si chiude sul risultato di 1-1, partita a tratti interessante ma molto spezzettata, i nostri giocatori sono degli attori nati :P ciò nonostante il successo maggiore l'ha avuto un drone che, per riprendere la partita dall'alto, rischiava costantemente di colpire i giocatori.

Panoramica Ibri Sports Complex.
 
Durante l'intervallo io, Jonathan e Ajmal decidiamo di abbandonare Sultan e i suoi amici in curva per unirci al "tifo caldo" dell'Al-Itihad. Ora, non per volerci prendere a tutti i costi i meriti, ma la nostra mossa ha pagato, risultato finale 3-1 per noi! Al-Itihad parteciperà alla seconda fare del campionato e rappresenterà la città di Ibri nella lotta alla conquista del titolo.



Aneddoto molto divertente: poco prima della fine della partita Jonathan mi chiede: "è migliorato il tuo arabo? Perché la tv locale sta venendo ad intervistarci solo perché siamo stranieri" ed io: "O_O oh m...., ma anche no!". Purtroppo si è avverato quanto predetto da John ma fortunatamente l'intervistatore ha condotto l'intervista in inglese nonostante le urla di Ajmal "IN ARABO!!!". Per fortuna non si riescono a trovare testimonianze :)

P.S.
La settimana dopo la finale, andando a giocare a calcio con i coinquilini e i ragazzi del posto mi sono ritrovato in squadra con il regista dell'Al-Itihad: è una bestia XD


Salvatore